Primo volo transatlantico più di 100 anni fa
Tutti conoscono e ammirano Charles Lindbergh; fu il primo ad effettuare la trasvolata atlantica in solitaria nel maggio 1927.
Non tutti ricordano che prima di lui gli aviatori britannici John Alcock ed Arthur Whitten Brown avevano già effettuato, nel 1919, la traversata senza scalo dell’Oceano Atlantico, tra l’altro in minor tempo, ma non in solitaria.
Aggiungo che, le conoscenze aeronautiche del 1919 erano enormemente minori di quelle raggiunte otto anni dopo.
Ecco un articolo del 14/06/2019 che ripercorre la loro storia. Traduzione automatica.
“Fu un viaggio terribile”
100 anni fa il primo volo transatlantico senza scalo
Di Rachael Kennedy & Vincent Coste
Un’impresa storica funestata da sventure, ma finita bene per fortuna. Ve la raccontiamo. Era il 14 giugno 1919…
Esattamente 100 anni fa, il 14 giugno 1919, due aviatori intrapresero la prima traversata transatlantica senza scalo della storia dell’umanità. Si chiamavano Arthur Whitten Brown , navigatore e Jhon Alcock , capitano.
Entrambi vantavano una lunga esperienza maturata nella Britain’s Royal Air Force durante la prima Guerra mondiale.
La loro impresa da oltre 2mila miglia fu la miglior risposta alla sfida lanciata dal quotidiano Daily Mail, che mise in palio 10mila sterline a coloro che avessero avuto successo nel compiere l’attraversamento dell’oceano in meno di 72 ore.
Il punto di decollo fu l’isola di Terranova, nella costa orientale del Canada. Il mezzo scelto: un bombardiere biplano Vickers Vimy .
Nessuno, fino al 1919, aveva mai osato intraprendere la traversata aerea tra America e Regno Unito senza tappe intermedie, ma in molti ci stavano pensando. Nelle settimane precedenti al volo di Alcock e Brown, si registrarono altri due tentativi falliti: il primo a metà strada, sull’Atlantico; l’altro conclusosi con uno schianto subito dopo il decollo.
Il primo volo transatlantico senza scalo
La coppia di aviatori britannici decollò da Lester’s Field, Terranova, Canada, il 14 giugno 1919 alle 18:13 e atterrò (molto bruscamente) a Clifden, piccolo centro della costa occidentale dell’Irlanda, la mattina successiva alle 10:40 del mattino.
Il tempo di volo fu di poco più di 16 ore con una velocità media di 118 miglia orarie (193 km/h). In totale l’aeroplano percorse 3041 km.
Nonostante il successo finale, il volo fu funestato dalle difficoltà fin dal principio.
I problemi iniziarono durante il decollo.
L’aereo, carico di carburante pesante, faticava a sollevarsi sopra la chioma degli alberi, come ricorda Brown nel suo libro: Sorvolare l’Atlantico in sedici ore.
Scrisse: “Più volte ho trattenuto il fiato, per paura che il nostro carrello potesse colpire un tetto o la cima di un albero”. Poi, a meno di un’ora dal decollo, la radio si guastò e i due furono tagliati fuori dal resto del mondo. Il messaggio “all well and started” di Brown, inviato poco dopo il decollo, fu la prima e ultima trasmissione radio del volo.
Il decollo del Vickers Vimy dall’isola di Terranova.
Ci si mise anche il maltempo.
In un’intervista con il _Guardian, _Alcock ricordò che le condizioni meteo furono difficili e il volo decisamente brusco. “Il vento soffiava duro, giù fino all’acqua. A cinque ore dal decollo abbiamo cercato di uscire dalle nuvole e dalla fitta nebbia, ma senza successo”.
La nebbia e la nebulosità impedirono a Brown di tenere traccia della posizione e questo portò Alcock a perdere, infine, il controllo dell’aereo.
In un momento decisivo, sospesi tra la vita e la morte, il bombardiere si fermò e iniziò a precipitare con movimento rotatorio verso l’oceano. Fu allora che Alcock riuscì ad arrestarne la caduta appena in tempo. Più tardi raccontò al Daily Mail: “Credo che abbiamo girato in tondo e disegnato una spirale. Si è trattato di un momento molto allarmante. Avevamo perso il senso dell’orizzonte”.
Proprio quando le cose non potevano andare peggio, i due furono costretti ad affrontare anche il nevischio e il ghiaccio che aveva congelato le ante del radiatore e coperto i manometri della benzina. Non restò altra scelta che spegnere uno dei motori, spostarsi ad un’altitudine più bassa e più calda così da permettere al ghiaccio di scongelarsi e ripartire. Poco meno di 30 minuti dopo, la coppia avvistò terra: l’Irlanda.
“Siamo stati molto felici di vedere la costa”, confessò Alcock.
Sorvolando l’area, i due individuarono un punto di atterraggio creduto sicuro. Ma ciò che la coppia pensò essere un campo pianeggiante si rivelò essere la palude di Derrigimlagh Bog, nei pressi di Clifden. Il Vickers Vimy si sfracellò nelle acque paludose. La punta dell’aeromobile finì sommersa ma i piloti – diventati i primi ad attraversare l’Atlantico in meno di 72 ore senza soste – ne uscirono fortunatamente illesi e poterono così raccontare la loro impresa al mondo.
L’arrivo rocambolesco dell’aeroplano in Irlanda
Durante il viaggio si concretizzò un’altra impresa, a volte trascurata.
Indicando una busta bianca contenente 800 lettere, Alcock disse al Guardian: “Questa è la prima posta portata al di là dell’Atlantico in volo”.
Alcock e Brown ricevettero non solo il premio in denaro di 10mila sterline, assegnato dall’allora ministro dell’aviazione britannico Winston Churchill, ma furono entrambi nominati cavalieri da re Giorgio V.
Alcock morì appena sei mesi dopo in un incidente aereo vicino a Rouen, in Francia. Era in volo con un aereo anfibio Viking Vickers diretto verso una mostra a Parigi. Brown morì nel 1948 dopo aver affrontato un periodo in precarie condizioni di salute.
Un video con i resti dell’aereo dopo l’atterraggio e i festeggiamenti ai due recordmen.
Un racconto dell’avventura
Il libro di Brown in inglese
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Gianni Guiducci